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//  Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.                   \\
/   Nescio, sed fieri sentio et excrucior.                             \
\                                                                      /
\\                                         Catullo - Liber, Carme 85  //
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  Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
  Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento.

In prima e seconda liceo, il latino mi piaceva.
Non era certamente la mia materia preferita, ma mi piaceva.

Tradurre una versione di latino, era, in un certo senso, appagante:
leggevi il testo, cercavi i termini sul dizionario, ripetevi un po' di
declinazioni, e aggiustavi il periodo, la frase, e poi ti dedicavi al
"labor lime" per raffinare la traduzione delle singole parole e rendere
il tutto molto armonico.

In un certo senso era anche "facile", perché bastava applicare qualche
regola fissa, sistemare qualche eccezione, e il gioco era fatto.

In terza il programma cambiò radicalmente: niente più traduzione, ma
letteratura latina. Ogni autore aveva la sua storia — che non mi
interessava minimamente — le sue eccezioni alle regole e il suo stile.
Tradurre le versioni di letteratura non era più operazione meccanica o
ragionamento logico, ma esercizio di improvvisazione su quello che si
sapeva — o, più spesso, che si supponeva di sapere — sull'autore del
testo, sulla sua vita, sul contesto storico.

Detto questo, un ruolo fondamentale nello studio della materia viene
giocato anche dall'insegnante, e non si può dire che dalla terza abbia
avuto un insegnante particolarmente stimolante.

Sarà stato il suo attaccamento alla cultura classica, saranno stati i
metodi di insegnamento arcaici, sarà stata la sua formazione umanistica
autoreferenziale, saranno stati i continui riferimenti a Dante o al suo
odio personale per la matematica... sarà stato quel che sarà stato, ma,
ad un liceo scientifico, nella mia classe, tutto ciò era molto
controproducente.

Anzi, la mia combriccola di piccoli scienziati pazzi dedicava le ore di
interrogazione di letteratura allo studio delle dimostrazioni di
qualche semplice teorema di crittografia, a ingannare la precisione
macchina delle nostre calcolatrici scientifiche, o alla preparazione per
le olimpiadi di fisica e di matematica.

Ma sto divagando.

Dalla terza, smisi di tradurre versioni di latino. O almeno, di tradurre
nel senso vero della parola: tutta quella retorica e tutte quelle
particolarità erano cosa aliena per la mia necessità di organizzare
tutto in uno schema logico e senza ambiguità.

Iniziammo a studiare i grandi autori classici, e le pagine, i capitoli
interi dedicati alla vita di questi erano qualcosa di vomitevole.
Veniva fornita una enorme quantità di informazioni incerte e pertanto
inutili, inventate, frutto di leggende metropolitane e aneddoti di un
paio di millenni fa, esplicitamente dichiarati come tali.

Non potevo far altro che domandarmi: ma gli autori del libro, non
facevano più bella figura a dire "non sappiamo niente"? Efficace e
conciso.

Forse no. Dovevano pur giustificare il fatto di aver perso anni della
propria vita dietro a ricerche che non potevano che portare a tali
osceni risultati. O forse dovevano semplicemente giustificarsi con
qualche finanziatore.

Tracciate un grafico, e vedrete come la mia passione per il latino,
inizialmente oscillante in un intervallo di decenza, scenda
asintoticamente a meno infinito mano a mano che ci si avvicina alla data
dell'esame di maturità.
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Un grafico molto simile può essere fatto per la mia passione per la
filosofia o, per meglio dire, per storia della filosofia, visto che
tutto ciò che dovevamo fare per superare l'esame era studiare il
pensiero di Marx, Hegel, Schopenhauer, Comte, Platone e i suoi amici,
cancellare ogni nostro dubbio, e ripetere.

La mia visione — forse riduttiva — o forse non ho capito niente in tre
anni di filosofia — il che è probabile — del mondo della filosofia
scolastica, è un'accozzaglia di pensatori che hanno idee diverse, si
scannano tra loro per questo — a parte qualche illuminista illuminato a
230 Voltaire — e cercano di distruggere l'uno le idee dell'altro facendo
ragionamenti logici, ma partendo da presupposti totalmente diversi.

Vorrei poter dire loro: è inutile che ti arrabbi col la filosofia del tuo
amico: semplicemente, tu hai creato un'altra corrente di pensiero.

E chi ha ragione? Tutti e nessuno contemporaneamente, nel nome del sano
principio di indeterminazione.

  - - -

La filosofia è importante, ma è il modo in cui la si insegna nelle
scuole, nei licei, che mi lascia enormemente perplesso.

Sapete chi, a mio parere, dovrebbe entrare nei libri di filosofia?
Richard Matthew Stallmann, sicuramente uno dei più grandi filosofi dello
scorso secolo — e anche di questo, per ora.
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Li ho venduti tutti.
I libri di latino e di filosofia li ho venduti tutti.

Il primo che sono riuscito a vendere è stato il libro di filosofia di
terza.

Ero cosciente che avrei potuto venderlo davvero, ma speravo vivamente di
non riuscirci (come mi è capitato con numerosi altri libri) o di
venderlo per ultimo, e invece mi è toccato darlo via subito, e mi è
dispiaciuto, un po' per il suo contenuto, ancora piacevole, ma
soprattutto per la dedica che una mia compagna di classe aveva lasciato
sulla seconda di copertina.

Quasi quasi ci avrei ripensato, se l'azione non si fosse consumata così
velocemente, in qualche manciata di secondi e nello scambio di una vile
banconota celeste.

La dedica consiste in una piccola poesia, nemmeno originale, che fa
sorridere un po' il lettore che si trova, impreparato, a seguire le sue
istruzioni e a scartabellare il libro avanti e indietro per giungere
alla conclusione dell'indovinello.

Niente di eccezionale, ovvio, ma era ciò che rendeva unico il mio libro
di filosofia di terza, insieme a quella ragazza castana.

Ho venduto tutti i libri di filosofia e di latino.
Me ne pento?

Non lo so.

È raro che mi disfi di qualcosa che mi ha accompagnato per lungo tempo,
specialmente se quella cosa ha qualcosa di mio: il mio nome scritto
sopra, gli appunti presi a margine, qualche sottolineatura, o,
semplicemente, un fregaccio a lapis.

Chissà dov'è ora il mio Abbagnano/Fornero, con la sua gialla copertina
sognante di infinito; chissà dove sono, adesso, ammesso che siano ancora
qualcosa di diverso dalla carta da macero.
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Di buona parte di quella filosofia, e soprattutto di quel latino, non mi
ricordo niente, ma mi manca.

È strano, perché non ricordo niente, quindi non so cosa o chi mi manca,
ma so che mi manca ugualmente.

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